L’iconografia, i santuari e i miracoli nello “Zodiaco di Maria” di Serafino Montorio.
L’iconografia, i santuari e i miracoli nello “Zodiaco di Maria” di Serafino Montorio.
Cinque le immagini della Vergine Maria che si adoravano nella Diocesi di Isernia intorno al 1700.
Madonna del Piano e Santa Maria in Altissimis per Monteroduni.
Figura 1 - Frontespizio dello Zodiaco di Maria
Nel lontano 1715, Serafino Montorio, priore del convento napoletano di Santa Maria della Sanità, pubblica Lo Zodiaco di Maria (fig.1). Un lavoro imponente, sui principali santuari Mariani che all’epoca esistevano dall’Abruzzo alla Sicilia. Un’opera dedicata alla Vergine Maria venerata nelle 12 province del regno che sono paragonate ai segni dello zodiaco. L’autore elenca e disegna la geografia Mariana nel mezzogiorno d’Italia dove già all’epoca Domenicani, Francescani, Agostiniani, Basiliani, Romiti offrivano la loro opera in grandi e piccoli centri di culto; una sorta di pellegrinaggio, nei santuari Mariani dedicando l’opera, come scrive l’autore “a colei il cui nome è venerabile agli Angioli, dolcissimo agli uomini e tremendo ai dimoni”.
Le narrazioni riguardanti la Vergine Maria, nelle città del regno, sono contenute nelle stelle dei 12 segni zodiacali che rappresentano le province. Ogni stella raffigura un’immagine di Maria, la chiesa in cui è custodita e si venera e la città o il paese che la ospita. In ogni stella l’autore fornisce anche delle brevi notizie storiche e geografiche del luogo, narra la storia dell’origine della diffusione di quella effige, descrivendola nella sua fattezza e racconta anche dei miracoli accaduti. In alcuni casi manca la descrizione dell’evento prodigioso che ha dato l’avvio alla costruzione del santuario e all’inizio del culto. In queste pagine, l’autore, non possedendo dati in merito descrive solo le immagini oggetto della venerazione come vedremo in seguito per quelle relative alle Chiese della nostra Diocesi. All’undicesimo segno dello Zodiaco (fig. 2), con il sole in acquario, sono descritti i luoghi e i santuari del Contado di Molise dove veniva venerata la Vergine Maria. Alla stella I, dopo una breve descrizione del Contado di Molise e delle sue origini, l’autore passa in rassegna i luoghi di culto che interessano la Diocesi di Isernia, lamentandosi della scarsità delle immagini della Vergine Maria e delle poche notizie ricevute in merito alla venerazione della stessa. Di seguito la fedele
Figura 2 - pagina originale dell'opera a pag 661
trascrizione delle critiche che hanno ostacolato il suo lavoro:
“In tutta questa Diocesi, anzitutto questa Provincia, sono così poche le immagini della Vergine, e queste così scarse di notizie, e così brevi, che mi vergogno inserirle frà tante cospicue, e prodigiose, che abbiamo descritte nell’altre antecedenti. Contuttociò, per non lasciare scorrere questo nostro Sole senza illustrar qualche Stella, almeno informe, di questo Segno, siccome mi sono state trasmesse le loro relazioni, così ne parleremo, potendo scusare il divoto Lettore la volontaria mancanza, della quale è sola cagione o antichità, che ci ha privati delle loro memorie, o la poca attenzione di chi doveva inviarmene più distinte le particolarità”
Dopo questa critica l’autore specifica che solo cinque sono quelle adorate in detta Diocesi e la prima è adorata nella cattedrale di Isernia:
L’effige della Cattedrale di Isernia. Santa Maria di Scio.
Figura 3 - l'effige nella posizione odierna
nella Cattedrale di Isernia
Si tratta di una effige (fig. 3) dipinta in tavola, a mezzo busto, con il bambino Gesù nel braccio sinistro. Fu portata da Monsignor Giovanni Battista Lomellino quando venne a reggere il Pastorale di Isernia. Anticamente, continua a descrivere nell’opera Mons. Serafino Montorio, “l’icona era venerata in una chiesa dell’Isola di Scio”, l’attuale Schio, in greco Chios. È la quinta isola per grandezza del mare dell’Egeo orientale difronte alla costa turca conosciuta come la patria di Omero. Fu antica colonia dei genovesi sulle rotte della Via della Seta.
L’icona, a detta dell’autore, fu portata in Italia dalla nobilissima famiglia dei Lomellino, mercanti genovesi che probabilmente la trafugarono per evitarne la distruzione dopo la caduta dell’isola nelle mani dell’impero Ottomano. Il nome dell’opera ha subito, nel corso del tempo, una lenta evoluzione: da “Madonna di Scio” oggi l’icona viene appellata “Madonna della Luce” e venerata nella cattedrale di Isernia.
Mons. Giovanni Battista Lomellino, dopo aver governato la Chiesa di Guardialfiera passò a reggere il Pastorale di Isernia e donò quest’opera alla Cattedrale facendola collocare “sulle colonne dell’altare maggiore dedicato agli apostoli S. Pietro e Paolo”. L’icona è opera di Marcos Batha iconografo cretese nato alla fine del 1400 a Candia e trasferitosi a Venezia nel 1538 dove visse fino alla sua morte avvenuta all’età di 80 anni. Nella trascrizione originale l’autore così descrive questa effige:
"La prima è venerata nella Catedrale (riferendosi ad Isernia). Ella è dipinta in tavola, di mezzo busto, col Bambino Gesù nel braccio sinistro, l’uno, e l'altra vestiti, e fregiati di preziosa corona. Fu nè tempi antichi tenuta in grandissima venerazione in una Chiesa dell'Isola di Scio, alla quale concorrevano quei popoli nei loro bisogni, quando ivi comunemente professavasi la nostra Fede; forse perche ne sperimentavano alla giornata prodigiose le grazie, come è fondatamente credibile. Fu poi di là trasportata in Italia dalli nobilissimi Signori in Lumellini, famiglie altrettanto cospicua nella città di Genova, quanto antica, dalla quale discendeva monsignor Giambattista, che doppo aver governata qualche anno la chiesa della Guardia detta Alfera (odierna Guardialfiera), passo a reggere il pastorale d’Isernia, donando alla sua Catedrale quella prodigiosa immagine, e collocandola su le Colonne dell'Altare Maggiore, dedicato agli Apostoli San Pietro, e Paolo. Di questa traslazione conservasi nell'archivio di detta Catedrale un antico documento, del quale anche essi, che quel Prelato fù con altri Vescovi al Concilio di Trento, e passò all'altra vita circa gli anni del Parto della Vergine 1596.
Avanti a questa Santa Effigie si cantano le Litanie ogni Sabbato, con l’assistenza di moltissimi divoti, che concorrono a venerarla, sperimentandola sempremai propizia nelle loro urgenti necessità. E questo è quanto mi vien significato di quella Sagratissima Immagine, della quale forse potrebbero sapere la origine, se mi fosse stata trasmessa la copia di quelle scritture sopraccennate; o almeno saprebbomo, come, e quando l’ebbero nelle mani li soprannominati Signori; il che, non avendo fatto chi n’ebbe il pensiero, è cagione, che io, e il Lettore restiamo digiuni d'ogni altra necessaria notizia”.Santa Maria dei Cipressi presso Fontegreca.
Figura 4 - L'interno dell'attuale Chiesa
La chiesa (fig.4), di antichissima fattura, fu ristrutturata ed ampliata con tre navate da Monsignor Biagio Terzi. Viene detta Santa Maria dei Cipressi perché situata in una selva di simili piante che intorno la ombreggiano. Sicuramente fu ristrutturata tra il dicembre 1698, anno di nomina di Monsignor Terzi a vescovo di Isernia e il 1716 anno della sua morte nella sede episcopale di Isernia. Vi dimoravano due frati Romiti appartenenti ad un ramo dell’ordine dei francescani. Probabilmente i monaci lasciarono questo luogo nel 1810 quando, per decreto, Napoleone Bonaparte impose la chiusura dei monasteri religiosi in tutta Europa. A pagina 665 dell’opera, la statua viene descritta, testualmente, come segue:
Figura 5 - l'attuale statua della Madonna dei
Cipressi a Fontegreca
“Questa Effigie (Fig. 5) è di legno, ma di antichissima scoltura, tutta intiera, con il Bambino Giesù vestito, chi mostra spiccarsi dalle braccia della sua Santissima Madre, la quale tiene nella sua destra mano un mazzetto di Rose. La chiesa, essendo da antichissima strottura, è stata modernata, ed ampliata a tre navi da Monsignor Terzi, che zelantissimo Pastore attualmente guida delle pecorelle di Cristo a pascoli del Paradiso, e tutto sta dedito al maggior decoro delle chiese e culto tanto della Madre, quanto del Figlio. Non ella più che ducento passi lontana dall'abitato e vi hanno stanza assai comoda due Romiti che ne hanno il pensiero coltivando la divozione verso quel Santuario che per altro, come in solitudine, spira santità da sé stesso. L’altezza della statua e di palmi cinque, e l'abito di colore azzurro tutto stellato”.
Una statua, a detta dei devoti, sempre miracolosa. Sicuramente la grande venerazione per questa effige è dovuta anche ai prodigi che vengono raccontati. L’autore ne cita due per soddisfare la curiosità dei lettori:
“Un tal Salvatore della Terra d’Ailano d’anni quattordici, trovandosi talmente storpio delle gambe, che appena reggevasi colle Grucciole, animato dalla viva speranza, e fede nella benignità della Madre di Dio, cavalcando al miglior modo possibile un somarello, si fè guidare alla detta Chiesa il lunedì di Pasqua quando con gran concorso vi si celebra solennissima la festa. Appena egli fù a vista del sacro Tempio, spiccossi dal Giumento, e deposte le Grucciole, come perfettamente sano, camminò fino all'Altare, dove rendute le grazie a quella Medica di Paradiso, ritornossene a casa da se, ed a piedi, benché fosse lontano dalla sua Patria circa sei miglia”.
Nel secondo miracolo l’autore descrive la grazia che ricevette un certo Egidio Cambio con queste testuali parole:
“Bella, e mirabile fù la grazia, che ricevette Egidio Cambio da quella pietosissima Signora: perché passando egli quel fiume, che nasce, e bagna le radici di quel Monte, sopra del quale è fabbricata la detta Chiesa, dedicata a Maria dei Cipressi, né avendo altro ponte per transitarlo, che una trave, la quale per le continue piogge era superata dall’acque del torrente molto ingrossato, né potendo reggersi alla furia dell'acqua, cadde con pericolo evidentissimo di restare sommerso ma invocando in quel tempo la Vergine dei Cipressi, fù dalla corrente trasportato, ma illeso, quanto un tiro di moschetto, ed a vicinanza della Chiesa placidamente sano, e salvo fu dall’onde deposto in terra: mercè che, essendo nel Segno d'Acquario, qui questo nostro Sole, non sapeva dare, se non acque di benedizioni: Pluvia beneditionis erunt”.
Dopo la bella descrizione della Madonna dei Cipressi di Fonte Greca, l’autore, descrive le statue situate nel territorio di Monteroduni dandoci diverse notizie nuove che non abbiamo trovato nemmeno negli scritti di Don Antonio Mattei e del compianto Ing. Giuseppe De Giacomo.
Madonna delli Piani, Monteroduni.
Figura 6 - attuale Chiesa della Madonna
del Piano
La terza statua, scorrendo le pagine dell’opera, era venerata nella Chiesa della Madonna del piano (fig. 6), detta nella trascrizione originale “Madonna delli Piani” perché situata alle pendici di Monteroduni; l’autore, nel descrivere la chiesa, ci dà diverse notizie inedite. La prima è una nota demografica: “Monterduni” (nella citazione originale), intorno al 1715, data di stampa dell’opera, era popolata da 300 famiglie. All’epoca questo dato rappresentava i fuochi fiscali ovvero le famiglie che pagavano le tasse. Usando un fattore di moltiplicazione pari a 5 (numero di componenti medio di una famiglia), già all’epoca, con molta approssimazione, posso affermare che Monteroduni contava circa 1500 abitanti.
La seconda notizia riguarda l’ubicazione di un monastero di monaci Basiliani nelle vicinanze della chiesa. Tali monaci si ispiravano alla regola di San Basilio (329-379). La presenza di monasteri tenuti da monaci basiliani nel Meridione d'Italia divenne più consistente quando le persecuzioni iconoclastiche dell’Imperatore Leone III Isaurico (717-741) costrinsero molti monaci ad abbandonare l'Oriente e a spostarsi in Italia, specie in luoghi sicuri, come il nostro territorio o come il territorio di Monteroduni.
Infatti, l’Imperatore vietò l’adorazione delle immagini sacre e ordinò la loro distruzione semplicemente perché credeva che il Signore dei Cristiani fosse in collera con i Bizantini.
L’importanza della loro presenza nei nostri territori è stata ricca anche dal punto di vista economico sociale. Intorno ad essi si raccolsero numerose comunità di contadini che proprio dai Basiliani appresero tecniche migliori di coltivazione. Nella loro migrazione verso le nostre terre, questi monaci, importarono molte piantagioni, tra cui alcuni tipi di querce dalle cui ghiande ricavavano la farina per il pane, il gelso, il carrubo e incrementarono la coltura dell’olivo. Ad oggi non abbiamo nessun riscontro visivo di ruderi del Monastero Basiliano nei pressi della chiesa di “Madonna delli Piani” anche perché parliamo di una presenza dei monaci prima dell’anno 1000 e sicuramente dopo il 717 inizio della pubblicazione dell’editto e delle persecuzioni iconoclastiche da parte dell’imperatore. La presenza di un monastero nel territorio di Monteroduni si fa risalire almeno al 1066 data di trascrizione sulla porta bronzea della Basilica del Monastero di Montecassino (fig. 7) della scritta “San Benedictus de Monterodoni”. Don Antonio Mattei, nelle
Figura 7 - quadrante porta bronzea Monastero
di Montecassino
“Memorie Storiche di Monteroduni”, colloca in contrada “Grotte”, a poche centinaia di metri dalla chiesa della Madonna del Piano, questo monastero. Di parere opposto è il compianto Ing. Giuseppe De Giacomo che, nei suoi scritti, ne rifiuta la collocazione in contrada Grotte ritenendo che si trovasse sulle montagne di Vallelunga nei pressi della fontana detta di San Benedetto. Dopo la lettura di questa opera si può essere ancorati alla tradizione che vede il monastero di San Benedetto ubicato in contrada “Grotte” ma senza nessuna pretesa. Sicuramente una nuova campagna di scavi nella zona descritta potrebbe chiarire in modo inequivocabile qualsiasi ipotesi descritta. Mi viene anche da dire ma sarà un caso che almeno tre generazioni con il nome Basilio, di cui uno vivente, sono presenti nell’anagrafe del Comune di Monteroduni?
Figura 8 - attuale statua posta nella chiesa
delle Madonna del Piano
La terza notizia che cogliamo in quest’opera è che la chiesa della Madonne del Piano esisteva già nel 1709 anno in cui Monsignor Biagio Terzi, Vescovo di Isernia, la fece ristrutturare come è possibile riscontrare nella descrizione originale in seguito riportata. In ultimo l’autore, Serafino Montorio, ci dà conferma della profonda venerazione che hanno gli abitanti di Monteroduni, con grande partecipazione, il giorno dell’Assunta per la statua (fig.8) che si trova nella chiesa. Oggi la festa della Madonna del Piano si celebra, con solennità religiosa e civile, il 14 e 15 del mese di agosto.
Queste le testuali parole nella dizione originale dall’opera dell’autore Montorio della Chiesa della Madonna del Piano nel territorio di Monteroduni: “Venerabile finalmente la terza, chi adorasi fuori la Terra non disprezzabile di Monderduni, che alimenta circa 300 famiglie. Alle falde del monte, dove questa Terra sta fondata, vedesi una chiesa con Monistero, antichissima abitazione di Monaci Basiliani dove vien venerata con presenza di Popoli una Statoa di legno della Beatissima Vergine, sotto il titolo delli Piani.
È questa di altezza cinque palmi, e mezo, di molto antica scoltura, in atto di sedere, tenendo sul ginocchio sinistro il bambino Gesù, adorno d’una veste talare ed ambedue sono coronati. La detta Chiesa è oggi di elegante, e vaga architettura modernata dalla pietà dell’accennato Monsignor Terzi attuale Vescovo d’Isernia l’anno 1709. Altro non ho, che dire di questa antichissima Immagine, della quale o per difetto del tempo, che tutto consuma, o per l’incuria di chi dovea trasmetterli, non ho miracoli da narrare. Vero è ben sì, che è tenuta in grandissima venerazione, e vi si celebra la festa nel giorno dell’Assunta; ogni sabbato vi si canta la Messa; e nelle solennità della Vergine vi si esercita culto speciale con affluenza di Popolo”.
Quarto luogo annoverato nell’opera si trova sempre nel territorio di Monteroduni al confine con le terre di Macchia d’Isernia. Ritrovare le origini di questo complesso significa vagare nel buio ma la testimonianza posta in questo lavoro ci riporta sempre alla presenza di un monastero Basiliano anche in questo luogo e quindi sicuramente tra il 700 e prima dell’anno mille. Queste le parole nella descrizione originale dell’opera di Serafino Montorio:
Statua di Santa Maria in Altissimis.
Celebratissima, e molto frequentata, trovasi in quarto luogo, che fosse negli antichi secoli in tutta la Provincia del Sannio la Santa Immagine, o simulacro di Maria Vergine, detta Santa Maria Altissimi, posta in una chiesa contigua ad un Monistero a quei tempi governato da Padri Basiliani. Stà questa in mezzo d’una selva alla riva del fiume Vandra, dalla città di Isernia due miglia, e mezo discosta, e vicino al Castello di Macchia. Tra le rovine di detto Monistero appena conservasi in piedi la detta chiesa con un solo Altare, sul quale è collocata la sacra Statoa. Questa, come viene giudicato, è di legno di cipresso; il suo colore per l’antichità è molto fosco; tiene il Bambino Gesù stretto col braccio sinistro, e stende la destra aperta, ò per dar segno di pace, ò per mostrarsi liberalissima dè suoi favori. La sua altezza non è più di quattro palmi e sta in piedi coronata con doppia corona, ma non già il divino suo Figlio, forse perché volentieri cede le sue corone alla Madre. Questo non è ignudo ma coperto con la veste, e tiene il volto verso la madre, guardandola. De suoi miracoli non avendo notizia alcuna, basterà il dire, che ne solennizza la festa agli 8 di Settembre, giorno dedicato alli gloriosi natali della stessa Madre di Dio, quando vi concorre popolo innumerabile a chieder grazie da quella Prodigiosa signora.
La chiesa rupestre di Santa Maria dell’Alto piede, in località Riporsi, a circa sette chilometri da Isernia, rimane l’ultima effige citata dal compositore dell’opera Serafino Montorio per quanto riguarda la Diocesi di Isernia:
Statua di Santa Maria d’Alto piede.
L’antico culto verso la Madonna dell’Alto piede veniva festeggiata annualmente l’8 settembre; in tale occasione l’eremo mariano era visitato da tantissimi pellegrini, provenienti dai paesi vicini, destinatari di favori celesti. Della descrizione che ci fa l’autore nella sua opera è rimasta una chiesa rupestre oramai dimenticata e sospesa dal culto e nella quale veniva custodita una statua della Vergine Maria in legno di olivo (nel gergo dialettale piede d’olivo appunto) statua ora custodita dalla Curia di Isernia in Cattedrale. La chiesa rupestre è immersa in uno scenario naturalistico unico e affascinante lungo le sponde del torrente Longanello, fra cascate, piscine naturali, giochi d’acqua e una biodiversità incontaminata. Questa la trascrizione dall’originale dell’opera sopra descritta di questo luogo:
Figura 9 - la madonna venerata nella Cattedrale
"Nell'ultimo luogo abbiamo un'altra immagine di Maria, che adorasi due sole miglia distante dalla detta città (Isernia) alla riva del fiume Longano, in un'antichissima chiesa, e Monistero di Benedettini, del quale non avanzano se non poche stanze abitate da Romiti, essendo l'altre consumate dal tempo, che sà diroccare senza batterie le fabbriche più magnifiche. La chiesa, nella quale si celebra ogni mattina è dedicata la stessa Vergine nostra Signora sotto il titolo di Santa Maria d’Alto piede né si sà donde sia originato tal nome. È d’antichissima manifattura la Chiesa suddetta, molto grande e vi è gran concorso in tutte le Feste della Vergine, e specialmente nel giorno della sua Santissima nascita, quando il Capitolo della Catedrale d’Isernia, che ne tiene l'amministrazione, vi si porta à celebrare divini offici. La Vergine e quivi rappresentata (fig. 2) da una statua alta 5 Palmi, ha il Bambino Gesù fra le braccia, mostra di sedere, ed è coronata. Dei suoi miracoli non vi è altra memoria che un'infinità di tabelle votive che pendono dalle mura di questa chiesa, come perpetui testimoni dell'efficace protezione, che tiene Maria di quei Popoli divoti: onde di lei si verificano le parole dell'ecclesiastico sol illuminante per omnia respects opus domini eccellentissimi mum est Maria. Estratti da relazione del vescovo suddito con data del 1° dicembre 1710”.
Conclusioni.
Queste, in sintesi, le descrizioni dei luoghi a noi più vicini e di interesse religioso che, l’autore, ha evidenziato nell’opera risalente al 1715. Un tuffo nel passato che ci ha indicato come il culto per queste statue e i riti religiosi siano ancora vivi nelle popolazioni interessate anche dopo oltre tre secoli. Ognuno, nel leggere il contenuto dell’opera, può scoprire luoghi mariani nella nostra regione e nel sud Italia che non sono contemplati in questo scritto. In molti casi ogni lettore può trovare notizie per arricchire la storia religiosa della propria parrocchia andando a scoprire se ancora il culto è attuale e se le statue sono ancora quelle descritte in questo lavoro.
Luciano Mascio