La formazione del centro urbano di Monteroduni
La formazione del centro urbano
Nel
X secolo ebbe inizio l’importante fenomeno dell’incastellamento anche
nella valle del Volturno, cioè ebbero qui inizio una serie di vicende,
protrattesi per tutto l’XI secolo, ricche di effetti sull’assetto insediativo
dei territori tenuti in quel periodo prima dai longobardi e poi dai normanni.
L’esito fu la concentrazione della popolazione rurale, fino ad allora sparsa
nelle campagne in nuclei a vocazione agricola più o meno piccoli, sorti intorno
alle precedenti ville romane o intorno a chiesette rustiche, in nuovi siti
individuati in corrispondenza delle alture dei versanti montani dalle quali si
poteva meglio controllare le aree pianeggianti e, soprattutto, le vie di
comunicazione, e si poteva meglio approntare la difesa dalle incombenti minacce
di scorrerie. Di fatto, il fenomeno dell’incastellamento, iniziato nella Valle
del Volturno dopo le incursioni saracene e la distruzione nell’881 dell’importante
abbazia benedettina di S. Vincenzo al Volturno, ha poi determinato l’odierno
assetto insediativo della stessa Valle, con la genesi dei centri urbani che
oggi ne caratterizzano la suddivisione amministrativa comunale.
Il Chronicon
Volturnense, importantissima fonte della prima metà del XII secolo, riporta
le notizie della cessione in affitto, con contratti notarili di durata
ventinovennale e obbligo di difesa, di diversi tenimenti del cenobio
benedettino in corrispondenza dei quali ebbero origine i nuclei urbani cosiddetti
“incastellati” di Castellone (Castel S. Vincenzo) nel 945, di Colle
Castellano-Olivella (Montaquila) nel 962, di Cerasuolo nel 962, di Fornelli nel
972, di Scapoli nel 982, di Vacchereccia (Rocchetta Nuova) nel 985, di Colli
nel 988, di Cerro nel 989, oltre ai castelli poi abbandonati di Valle Porcina e
Santo Stefano (vds. Richard Hodges, Villaggi altomedievnell’Alta Valle del
Volturno, Almanacco del Molise, Vol. II, 1992); AA.VV., L’antica terra
vulturnense, Volturnia Edizioni, 2009, pag. 47-49). Lo stesso Chronicon
non riporta, invece, alcuna notizia riguardante Monteroduni. L’esclusione è nondimeno
spiegabilissima, dato che Monteroduni non era compreso nella Terra Sancti
Vincenzii, bensì faceva parte della confinante diocesi e del gastaldato
longobardo, poi contea normanna, di Isernia, quando invece nel Chronicon
e negli altri cartulari benedettini sono riportati solo atti e accadimenti che
riguardavano i beni amministrati dalla stessa Abbazia.
Il
fenomeno dell’incastellamento non fu limitato esclusivamente a questa parte del
territorio regionale, dove certamente fece da volano l’opera dei monaci
volturnensi, ma fu un fenomeno esteso all’intero ducato longobardo di
Benevento, e perciò pure a tutto il Molise. Infatti, nei vari gastaldati
longobardi molisani e quindi, per quello che qui interessa, anche nel
gastaldato di Isernia. Esso ebbe i suoi esiti con la formazione di diversi
nuclei urbani murati, o dotati o di recinti fortificati, o di castelli-residenza,
o di torri isolate, come Bagnoli del Trigno, Pescolanciano, Carpinone, Castelpetroso,
Macchiagodena, Frosolone, Pesche, Macchia d’Isernia (vds. Gabriella Di Rocco, Castelli, viabilità e paesaggi del Molise
medievale, Edizioni Spolia, 2016). Si
consolidò ultriormente, poi, con l’assetto amministrativo voluto dai nuovi
signori normanni succeduti intorno al Mille ai Longobardi.
Purtuttavia,
e nonostante la scarsità di notizie reperibili dalle poche fonti documentali disponibili,
è impossibile pensare che il territorio di Monteroduni sia rimasto estraneo
agli accadimenti legati all’incastellamento svoltisi in quel periodo,
considerato che il colle di Monteroduni rappresentava un privilegiato punto di
osservazione e di controllo della sottostante piana, posta proprio all’ingresso
della contea di Isernia, e dell’importante nodo viario rappresentato
dall’incrocio fra la Via Latina e la Via Francisca – una sorta di
antesignane delle odierne strade statali 85 “Venafrana” e 158 “Della valle del
Volturno” – che ivi transitavano (vds. https://www.geamonteroduni.org/files/12---LA-VIA-ROMANA.pdf). Inoltre, nella stessa piana, fertilissima,
ricca e frequentata dalle età più antiche, come la ricerca archeologica ha
mostrato, erano presenti diversi insediamenti a carattere rurale i cui abitanti,
in quello stesso periodo, avvertivano sempre più forte l’esigenza della difesa
dalle scorrerie saracene – si ricordi che la vicinissima abbazia di S. Vincenzo,
come si è detto, fu distrutta nell’881 proprio dai Saraceni, i quali
necessariamente dovettero transitare nella piana di Monteroduni per raggiungere
il monastero volturnense. Così si presentava il territorio di Monteroduni nella
seconda metà del X secolo, vale a dire nel periodo in cui ebbe inizio e trovò
maggiore sviluppo l’incastellamento.
Mappa del territorio di Monteroduni con l’indicazione della Via Latina e della Via Francisca. Da Richard Hodges, Papers of the British School at Rome, volume 58, novembre 1990
In
questo stesso periodo la terra di Monteroduni apparteneva al conte Landolfo il
Greco di Isernia cheaveva appena ricevuto in assegnazione, con Diploma di
Concessione del 5 maggio 964, l’intero gastaldato/contea di Isernia (compreso,
all’incirca, tra le valli dei fiumi Trigno, Sangro e Volturno) dai potenti fratelli
Pandolfo I Capodiferro e Landolfo III, principi associati in co-reggenza sul
trono longobardo di Benevento e Capua. Ottenuta la contea, il comes Landolfo,
e poi il figlio Landenolfo, vollero rafforzare il loro controllo sul vasto
territorio amministrato con la costruzione di castelli e fortificazioni in
corrispondenza dei punti strategicamente più importanti, fra i quali, si
ripete, non poteva non essere compreso Monteroduni.
Un’altra
considerazione, non marginale, porta a ritenere che il nucleo incastellato di
Monteroduni sia proprio di origine longobarda (fine X secolo – prima metà XI
secolo), ed è la consacrazione del colle a S. Michele. Infatti i longobardi
adottarono l’Arcangelo come loro santo, avendo in lui individuato delle
prerogative simili al dio pagano Wotan, il dio-guerriero venerato dalla
tradizione germanica e particolarmente funzionale al mantenimento della
struttura sociale e politica del Regnum Longobardorum, tanto da nutrirne
fervida devozione nel “santuario nazionale” di
Monte Sant’Angelo del Gargano, meta di pellegrinaggio tramite la Via Sacra Longobardorum
– oggi chiamata Via Micaelica – una delle grandi direttrici di
peregrinazione medioevale, con Gerusalemme, Roma e Santiago di Compostela.
In definitiva,
si può fissare l’origine del centro abitato di Monteroduni nell’arco
temporale che va dal 964 a tutta la prima metà del 1000, cioè dall’ultimo
scorcio del periodo longobardo al conseguente avvento dei Normanni.
E nel
1105 compare per la prima volta il nome “Rodoni”, che segue l’appellativo
topografico “monte”, nella cosiddetta Conferma
della concessione del Monastero di S. Benedetto di Monteroduni del conte Ugo di
Molise all’abate di Montecassino Oderisio
(un importane documento conservato nell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino con
il quale il conte normanno Ugo di Molise appunto concede all’abate di
Montecassino i due monasteri di S.
Petrum in Sexto e di S.
Benedictum in monte Rodoni).
Sarebbe
davvero molto interessante poter disporre di una seria indagine filologica sul
nome “Rodoni”, traslitterato in “Odonis” nel successivo documento del 1182
cosiddetto Privilegio di papa Lucio III a Rainaldo vescovo di Isernia (di
cui è conservata una copia del 1625 nell’Archivio Capitolare Diocesano di
Isernia), che forse potrebbe svelare aspetti e significati dirimenti che finora
sono sconosciuti. In mancanza occorre rifarsi alle ipotesi avanzate dai diversi
studiosi, monterodunesi e non, che si sono occupati della questione.
Giuseppe
De Giacomo ritiene che il nome “Roduni” provenga
dalla “città” romana di Rotae. Opinione questa peraltro largamente
condivisa nel paese per l’immediata e fin troppo facile assonanza fonetica con
il toponimo Ad Rotas-Rotae della Tavola di Peutinger. Il De Giacomo, poi,
trovando
delle incongruenze nella presunta localizzazione di Rotae in località
Socce-Camposacco-Paradiso (vds. Monteroduni dalla Preistoria al Mille,
Lamberti Editore, 1988, pag. 86-87),
localizza Rotae nell’odierna contrada Grotte, nonostante i riscontri
archeologici effettuati dalla Soprintendenza del Molise nel 1989 indichino per il
sito di tale contrada tutt’altra destinazione.
Don
Antonio Mattei, pur condividendo la
possibiltà dell’esistenza di un villaggio chiamato Rotae in località
Camposacco-Paradiso (risalente, secondo il Mattei, al 2000
a.C. e perciò fondato da popoli immigrati Italici Osco–Umbri), esclude la provenienza del toponimo “Roduni” da
Rotae e, attingendo dalla Vita di Fabio Massimo di Plutarco, a
sua volta teorizza la derivazione di tale stesso toponimo dal nome latino Olotronus
del fiume Volturno, nome che avrebbe anche indicato la catena dei monti del
Matese a cui si allacciava il colle di Monteroduni (vds. Memorie
storiche di Monteroduni, 1994, pag. 2).
Paolo
Nuvoli si pone su tutt’altra posizione
(vds. La tavola di Peutinger in area sannitica,
Edizioni Vitmar, 1996, pag. 256 e prec.). Infatti, il Nuvoli, facendo propria la diversa ipotesi di Ernesto
Giammarco, insigne glottologo e storico del periodo longobardo in Abruzzo e
Molise – ipotesi alla quale hanno aderito anche altri auterovoli storici quali Angelo
Viti (vds. Note di diplomatica ecclesiastica sulla contea di Molise,
Arte tipografica, Napoli, 1972, pag. 34) e Domenico Caiazza (vds. Il
territorio tra Matese e Volturno, note di topografia storica, in Atti
del convegno di studi sulla storia delle foranie della Diocesi di Isernia‐Venafro,
1994, pag. 32) –, ribadisce che “Roduni” derivi dal nome longobardo (Mons
Rodonis) della persona alla quale era stato dato in possesso quella parte di
territorio della contea di Isernia.
Orbene, escludendo per “Roduni” la provenienza da
Ad Rotas-Rotae, perché priva del benchè minimo riscontro di natura
archeologica o documentale, ed escludendo pure la infondata ipotesi del Mattei,
sembrerebbe convincente, invece, quest’ultimo ragionamento sulla radice
longobarda del toponimo Monteroduni, che quindi significherebbe Monte di
Rodo o di Hordo, dove appunto Rodo e Hordo sono
nomi personali longobardi.
A
rafforzare detta nuova ipotesi depone il fatto che sono diverse le derivazioni
etimologiche d’origine longobarda che si ritrovano in tanti altri toponimi come
“Guardia”, “Gualdo”, “Galdo”, “Gallo”, che derivano dal germanico “wald”, bosco.
O come “Guasto”, “ Vasto”, da “wosti”, deserto, luogo incolto. O, ancora, ed è
il caso di Monteroduni, da nomi personali preceduti da termini geomorfici, come
Rocca Machenolfi, Rocca Sassonis, Maccla de Godino, eccetera.
E questa stessa supposizione appare ancor più convincente se inquadrata nel
contesto storico creatosi nel 964, quando la terra di Monteroduni apparteneva ai
conti longobardi di Isernia Landolfo il Greco e poi al figlio Landenolfo, che nella
stessa città avevano già il loro castello (vds. Franco Valente, Isernia,
origine e crescita di una città, Edizioni Enne, 1982, pag. 121-127) e
perciò, verosimilmente, affidarono il nuovo castello di Monteroduni a un
signore a loro legato da vincolo di vassallaggio.
Che
il nome di questo signore fosse stato Rodo, o Hordo, o altro
foneticamente simile, non è dato sapere con certezza. Come si è detto, si
ribadisce anche chiusura che in assenza di nuovi e persuasivi riscontri
documentali, rimane solo da rivolgere l’attenzione alla ricerca filologica dell’etimo
affinchè si abbia l’interpretazione più corretta possibile di Roduni.
Di Stefano Biello
ing.stefanobiello@gmail.com