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MONTERODUNI TRA ANTICHITÀ SAPORI E CULTURA
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La ricerca archeologica

l territorio di Monteroduni, e in particolare la sua parte pianeggiante, ha avuto una intensa, continua e significativa frequentazione dell’uomo fin dalle epoche più remote, grazie a due favorevoli fattori.
Il primo è la particolare collocazione geografica, che è tale da rappresentare la naturale cerniera fra il Lazio e la Campania da una parte e il Molise e l’Abruzzo dall’altra, e perciò è da sempre un obbligato luogo di transito per gli spostamenti fra tali regioni. Il secondo è la ricchezza d’acqua e quindi la sua fertilità, dato che esso è significativamente segnato dal corso dell’importante fiume Volturno e degli affluenti Vandra e Lorda, oltre che da numerose sorgenti e corsi d’acqua secondari.
È un territorio ricco di storia, oltre che di bellezze naturali, e tanti sono i resti e i segni del passato che ancora sono presenti e oggi consentono, grazie a quanto finora fatto dalla ricerca archeologica (ma tanto deve essere ancora fatto), di ricostruire il quadro degli insediamenti umani via via succedutesi nel corso dei secoli.

A partire dai rinvenimenti addirittura dell’età acheuleana (circa 400 mila anni a.C.), come:


- i bellissimi bifacciali trovati dal prof. Carlo Peretto – lo scopritore dell’Homo Aeserniensis – dell’Università di Ferrara, nelle campagne di scavo del 2008 e del 2014 in località Guado S. Nicola (vds. Archeomolise, n.1, luglio/ settembre 2009, e in Annali dell’Università di Ferrara, vol. 10/11, 2014);
- la zanna di mammut trovata, sempre in località Guado S. Nicola, dallo stesso prof. Peretto nel 2015.

Per passare ai rinvenimenti dell’età del bronzo, come:
- i materiali di industria litica e ceramica risalenti all’età del bronzo tardo trovati in località Paradiso
con gli scavi condotti dalla cattedra di paletnologia dell’Università di Roma La Sapienza nel 2002 e 2005 (vds. Conoscenze, rivista semestrale della Direzione Regionale per i Beni Culturali del Molise n. 1-2, anno 2005);


- i materiali trovati dall’eclettico canonico Francesco Scioli (1829‐1911) nelle località Socce e Sant’Eramo, oggetto degli articoli pubblicati nella Rivista Italiana di Palermo (n. 15‐20 del 1881) e sul periodico campobassano Il Sannio (anno I, n. 14‐16‐18‐20‐24 del 1882), e di cui lo stesso canonico ne dette notizia a Luigi Pigorini, il padre della paletnologia italiana, che a sua volta ne fece oggetto di un articolo apparso sul Bullettino di Paletnologia Italiana (anno 1887, Vol. XIII).


E poi ai rinvebimenti dell’età sannitica, che testimoniano dell’avvenuta salda occupazione del territorio con la nascita dei primi nuclei stabili e la realizzazione delle prime opere infrastrutturali, come:
- la cinta fortificata con mura poligonali della vicinissima Mandra Castellone, presente nel limitrofo tenimento di Capriati a Volturno;
- le sepolture di località Spinete, trovate dalla Soprintendenza Archeologica del Molise nel 2015, in occasione degli scavi per la realizzazione di un metanodotto;
- le tracce (rinvenimento di glandes plumbae, cioè ghiande fromboliere) relative a un importante episodio della guerra sociale svoltosi intorno al 90 a.C. nelle località Colle del Lago, Colle Forche e Colle S. Maria in Altissimis, tra l’esercito romano di Silla e l’esercito della Lega italica di Gaio Papio Mutilo.

E quindi i rinvenimenti dell’età romana, durante la quale il territorio monterodunese ebbe il primo inquadramento amministrativo, venendo ricompreso nel municipio di Aesernie (anche se il municipio di Venafro possedeva delle tenute sulla sinistra del Volturno in corrispondenza delle contrade Campo la Fontana e Cupelle), come:
- i resti lapidei e le epigrafi di località Cupelle murate nel casino Scioli (Casino “di don Felice”) di località Guado San Nicola, catalogate da T. Mommsen (1817-1903) nel Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L.) e commentate dall’illustre archeologo napoletano R. Garrucci (1812-1885), che fanno rimando all’esistenza di un insediamento di tipo vicanico ascrivibile alla tribù Teretina di Venafro (dalla lettura che fece il Garrucci dell’epigrafe “HONOREQ/TER.PATRI…”);

Le epigrafi murate nel casino di don Felice



- i resti lapidei (colonne, trabeazioni, fregi) di importanti costruzioni e il ritrovamento di monete in località Camposacco‐Paradiso (di cui dette notizia l’illustre monterodunese don Tommaso Scarduzio in La trovaglia di Monteroduni) che fanno rimando all’esistenza di un tempio e, ugualmente, di un insediamento di tipo vicanico;

- le ville rustiche esistenti in diverse contrade della campagna, tra le quali, oltre a quelle di località Casasola e Campo Marra, molto importante è quella rinvenuta in località Grotte, come accertato dai saggi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica nel 1989 (villa che risultava servita da una strada di cui ancora affiorano i resti del basolato e da un acquedotto ipogeo ancora oggi funzionante);

- le sepolture presenti in varie parti del territorio, tra le quali quella a cui si riferisce l’epigrafe funeraria conservata presso il Municipio di Monteroduni dedicata a “Quinto Falcidio Sotereci”, proveniente dalla località Quinti/Carpinete;


QUINTO FALCIDIO SOTERECI

- i due bellissimi e misteriosi bassorilievi di località Castagnete, raffiguranti “il ratto di Europa” e “un giovane in groppa a un elefante”;
- gli altri importanti bassorilievi murati in un altro edificio di proprietà privata, probabilmente provenienti, come i precedenti, dalla località Sant’Eramo;

- il triglifo di località Cupelle, che fa rimando all’esistenza di un tempio votivo romano, o addirittura italico;

- l’importante Via Latina, che, provenendo dal venafrano e attraversato il Volturno, proseguiva nell’agro di Monteroduni verso il municipio di Aesernie e il Molise interno, come testimonia il rinvenimento, avvenuto in località Socce-Camposacco, del cippo miliario oggi conservato presso il Museo di Santa Maria delle Monache di Isernia (vds. D. Caiazza, La Via Latina e i suoi raccordi, in G. De Benedictis, La provincia Samni e la viabilità romana, Volturnia Edizioni, 2010);

Miliario della Via Latina

- i ruderi di un ponte, che si vuole di origine romana, affioranti nel letto del fiume Volturo, in località Campo la Fontana, circa 500 metri più a monte di Ponte Latrone;


E infine i rinvenimenti dell’età altomedievale e longobarda, durante la quale il territorio monterodunese seguì le sorti della diocesi e del gastaldato longobardo di Isernia, come:
‐ i resti dell’ecclesia baptisimalis di località Socce, trovati nel 2001 dall’archeologo Michele Raddi, insieme a numerose tombe databili non oltre il VII-inizio VIII secolo, che riutilizzava le solide strutture murarie di una grande villa rustica romana, e che probabilmente è l’Ecclesiae S. Andreae menzionata nel Privilegio di Papa Lucio III a Rainaldo vescovo di Isernia del 1182;




- la bellissima e misteriosa Tricora di Ponte Latrone, oggetto di un fondamentale studio del 1984 dell’arch. Franco Valente (S. Maria a Ponte Latrone sul Volturno, in Almanacco del Molise, 1985), che per primo ne portò all’attenzione l’esistenza, e poi di una ricerca archeologica del 1990 del prof. Richard Hodges, lo scopritore di S. Vincenzo al Volturno (in Papers of the British School at Rome, volume 58, novembre 1990), nella quale si avanza l’ipotesi che i resti siano riferibili al villaggio di S. Giovanni de Coppetellis;




- gli imponenti ed enigmatici ruderi del Ponte Latrone, dei quali aveva già parlato Giovanni Vincenzo Ciarlanti in Memorie Historiche del Sannio, anno 1644, come di un’opera voluta e realizzata da Federico II, e poi oggetto, anche questi, del già citato studio dell’arch. Franco Valente, e di una ricerca del 1994 dell’eminente storico alifano Domenico Caiazza, secondo i quali un rimaneggiamento di epoca medievale si sovrappone all’originario impianto di epoca romana;

Rilievo dei ruderi di Ponte Latrone e della Tricora. Da Domenico Caiazza, Atti del 1° convegno di studi sulla storia delle foranie della
Diocesi di Isernia-Venafro, Capriati a Volturno, 1994


- l’affascinante Abbazia di S. Maria in Altissimis, posta sull’omonimo colle a confine con il comune di Macchia di Isernia (vds. Francesco De Vincenzi, Davide Monaco, S. Maria in Altissimis in Monteroduni, in Almanacco del Molise, 1989);

- i resti, rinvenibili in località Lame (il termine lame è utilizzato nella Historia Longobardorum di P. Diacono con il significato di condotte d’acqua), della condotta di un acquedotto a servizio del nucleo abitato di Monteroduni.


Come appare evidente dalla precedente esposizione, la ricerca archeologica ha consentito di accertare la presenza di resti e testimonianze, anche di notevolissimo valore e interesse, che arricchiscono e rendono unico il territorio di Monteroduni, e che attestano l’esistenza di piccoli nuclei insediativi stabili, edifici, anche importanti, e manufatti. Cioè, in definitiva, di un tessuto insediativo diffuso in tutta la piana a partire dalle età preistoriche e fino all’età medievale.

Oltre a quanto emerge dalla ricerca archeologica, sia consentito aggiungere in conclusione, che non ci sono fonti documentali riferibili alle età più antiche da cui attingere ulteriori dati riguardanti l’assetto del territorio monterodunese, se non la citazione del toponimo Ad Rotas nella cosiddetta Tabula Peutingeriana, una importantissima pergamena che riproduce gli itinerari stradali della Roma imperiale, che al Segmentum V appunto riporta la statio o mansio (cioè un luogo di sosta, una sorta di moderna stazione di servizio) di Ad Rotas come importante tappa per chi da Roma entrava nel Sannio.


Particolare della Tabula con l’indicazione di Ad Rotas

Ebbene, le letture della viabilità rappresentata nella Tabula fatte dai principali studiosi (A. La Regina, F. Coarelli, M. Carroccia, I. Bonanni, O. Gentile, G. De Benedictis, ecc.) portano tutte a ipotizzare la localizzazione della statio di Ad Rotas nel territorio di Monteroduni, in corrispondenza dell’attuale contrada Camposacco-Paradiso.
Certamente in tale contrada, come testimoniato dagli scavi ivi effettuati, si deve registrare la presenza dell’uomo dalle epoche più lontane della preistoria e fino al medioevo. In questa stessa contrada, infatti, si è visto che numerosi sono stati i rinvenimenti di epoca romana, tra i quali epigrafi di grande interesse, resti lapidei (colonne, trabeazioni, fregi) di importanti costruzioni, e di monete, che fanno rimando all’esistenza di un insediamento di tipo vicanico, cioè a un vicus rusticus. Tuttavia, mai nulla si è rinvenuto che possa testimoniare con chiarezza l’esistenza della statio di Ad Rotas, o addirittura del nome di Rotae per il vicus che certamente vi poteva sorgere. Peccato che con i due scavi di livellamento, profondi circa tre metri, fatti nel 1843 e nel 1905 per rendere irrigabili quei terreni, molte testimonianze, che con ogni probabilità lì ancora si conservavano, sono andate irrimediabilmente perse.

Paolo Nuvoli, invece, nel fondamentale e innovativo studio La tavola di Peutinger in area sannitica, Edizioni Vitmar, 1996, dopo una rigorosa e documentata analisi dei percorsi riportati, con fondate e persuasive argomentazioni, scompagina la lettura fino ad allora quasi unanimemente accettata della viabilità della Tabula, che dava per acquisito che il tracciato Venafrum–Esernie passasse per Ad Rotas, e pone una serie di nuove questioni riguardo alla corretta localizzazione della stessa Ad Rotas e di Cluturno, altro toponimo, quest’ultimo, riportato nella Tabula sul tratto che va da Esernia a Caiatie. Così Nuvoli arriva a localizzare Ad Rotas non più nella contrada monterodunese di Camposacco-Paradiso bensì in corrispondenza della piana di Rocchetta a Volturno, e Cluturno in corrispondenza del vicus rusticus di contrada Camposacco-Paradiso.


La tavola di Peutinger in area sannitica Ipotesi di ricostruzione della viabiltà. Da P. Nuvoli

Allora, sembrerebbe che occorra prendere atto che tra l’Ad Rotas della Tabula e l’ipotetico nome di Rotae, così come ipotizzato da diversi studiosi locali per il vicus rusticus di contrada Camposacco-Paradiso, vi è solo una fin troppo immediata assonanza semantica, e null’altro. Assonanza che, per di più, consente anche un facile, e sbagliatissimo, rimando all’attuale nome di Monteroduni.

Stefano Biello
info: ing.stefanobiello@gmail.it


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