Il Centro Antico: Impianto Urbanistico E Caratteri Edilizi...
Il centro antico, impianto urbanistico e caratteri edilizi
Il particolare disegno del tessuto urbano antico di Monteroduni conserva, chiarissimi, i tratti tipici dei centri “incastellati” intorno al mille dai longobardi e poi dai normanni, cioè quelli di un abitato fortificato, chiuso, con uno schema urbanistico concentrico che si allarga dalla preminente residenza signorile fino alla cinta muraria.
E appunto così sono le case di Monteroduni, addossate e strette le une alle altre intorno alla parte sommitale del colle, dove sorgono il Castello e la Chiesa. Case disposte a delimitare le due anguste vie che tagliano di lungo la stessa parte alta e gli ancor più angusti e ripidi vicoli che portano ad intervalli pressoché regolari alla via extramurale, che a sua volta racchiude in un rassicurante abbraccio lo spazio unitario dell’intera zona antica.
Il suddetto semplice reticolo viario, per le modestissime larghezze delle strade e dei vicoli, che in alcuni punti sono addirittura di poco superiori al metro, risulta appena leggibile nel compatto addensarsi delle case. La fitta trama dei fabbricati sembra interrompersi solo per la presenza di spazi aperti destinati a orti, soprattutto nella parte del colle rivolta a mezzogiorno, o di alcuni giardini rialzati rispetto al piano viario lungo la cortina di via del sole. Le poche piazze, anch’esse di dimensioni estremamente ridotte, non sono recinti indipendenti dalle strade e non hanno elementi rilevanti da mostrare e tanto meno sfarzi da esibire, anzi appaiono piuttosto delle semplici aperture in corrispondenza di edifici e luoghi di importanza per la vita della collettività, pensate solo per agevolare quella stessa modesta vita.
In posizione baricentrica al tessuto urbano vi è, poi, la piazza più importante, che per secoli è stata l’agorà del Paese, cioè la piazza S. Nicola e il suo naturale prolungamento fino alla vicinissima piazza S. Angelo, dov’è la Chiesa Madre e il Municipio e in tempi antichi vi era l’Università (l’Universitas Civium di angioina memoria, corrispondente all’odierno municipio) e vi si teneva il Seggio (l’assemblea preposta all’amministrazione della comunità).
Lungo i lati a valle delle vie extramurali, un ulteriore anello di fabbricati di successiva costruzione cinge il centro antico. I fabbricati di più recente realizzazione, invece, sono sorti lungo le strade di accesso al paese: lungo la strada vecchia, che si svolge nella parte del colle che più dolcemente degrada verso la piana; lungo la strada nuova, fino alla curva di Colle Pelato che immette al lato nord; lungo la strada per Vallelunga.
Queste tre strade, insieme a quella più antica proveniente dalle Castagnete, che sale al paese passando per la Chiesa di S. Lucia e per il Cappellone, e insieme alla ugualmente antica strada che invece scende dalla montagna per il Calvario, confluiscono tutte nello stesso punto, vale a dire alla Forcella, che perciò rappresenta anche il vero inizio della salita alla parte antica dell’abitato, fino a ru Spuorte, cioè alla Porta dell’Alto, e al Castello.
Non si hanno notizie certe riguardo alla crescita nel tempo del centro antico, a partire dalle prime edificazioni che certamente avvennero intorno al Castello e alla Chiesa, e riguardo alle trasformazioni succedutesi. Le uniche informazioni documentali, peraltro molto generiche, riguardano l’esistenza della chiesa di S. Nicola, una delle tre parrocchie di Monteroduni, e del complesso conventuale di S. Agostino con annesso ospedale del XIV secolo, i cui ricordi si conservano nei toponimi delle rispettive piazze e in qualche traccia ancora presente.
Facendo rimando alle pubblicazioni di Giuseppe De Giacomo e don Antonio Mattei per più specifiche notizie circa tali antichi edifici, si dice solo che la chiesa di San Nicola oggi risulta completamente demolita e di essa si è persa la memoria della sua esatta collocazione planimetrica.
Tuttavia, sopravvivano ancora, in un fondaco sottostante all’odierno piano della piazza, i residui murari di due vani voltati, probabilmente corrispondenti alla cripta absidale della chiesa, nel primo dei quali sono visibili due colonne in pregiato granito. Inoltre, della chiesa di Sant’Agostino, e degli annessi convento ed ospedale è possibile invece scorgere qualche tratto del loro disegno planimetrico, in particolare della chiesa e del chiostro, dalla lettura dall’alto dell’odierna configurazione del luogo e da qualche resto ancora presente nei fabbricati della zona e, soprattutto, nei fondaci.
Un importante documento del 1668, il “Tavolario di Pietro Apuzzo”, che illustra la consistenza del feudo di Monteroduni all’atto dell’acquisto da parte della famiglia Pignatelli, contiene anche una interessante descrizione del centro abitato e del castello. In particolare, riguardo al castello, parla di “primo e secondo recinto”, “si entra in esso per intrado tondo nella sua prima ritirata”, “si va poi nella seconda ritirata per ponte di fabbrica a calatore di ligname”, e parla di “fosso nel giardino”, lasciando così supporre una diversa sistemazione della zona immediatamente circostante al maniero rispetto agli andamenti delle attuali vie perimetrali. D’altra parte, anche gli stessi nomi di via Fosso e di via Porta Falsa richiamano appunto l’esistenza di una diversa porta di entrata al castello e di un fossato.
Per quanto riguarda, invece, l’antica cinta muraria si conservano solo ricordi tramandati oralmente e qualche preziosa fotografia. Negli anni ’30, infatti, furono interrate e nascoste le vecchie mura di cinta e le torrette, che erano ancora presenti lungo la via extramurale del sole dietro all’attuale muro in pietra costruito per realizzarne l’allargamento. Inoltre, fino agli inizi degli anni ’70, quando fu demolita, si conservava, anche se in pessime condizioni, una delle due porte urbiche, quella cosiddetta “del Basso”, posta immediatamente a valle della Chiesa di S. Biase. Infine, pochi anni orsono, è stata demolita pure l’ultima torretta della cinta muraria, che sopravviveva in precario stato all’inizio della via delle Fratte.
Tuttavia, sono presenti delle singolari testimonianze di particolare interesse, come la piccola vasca in pietra di un’antica fontana recante la scritta “estote prudentes sicut saerpentes” (da sempre, a parere di chi scrive, saggia regola di vita per i monterodunesi) e oggi murata lungo i gradini della salita seggio, ma di cui si ignora l’originaria collocazione (forse nell’antica piazza Mercato, cioè l’odierna piazza San Nicola) o il misterioso elegante, e ugualmente antico bassorilievo raffigurante un cane che insegue dei cervi murato su una casa di via D‘Afflitto, oggetto di attenzione da parte dell’archeologa ed epigrafista tedesca Silvia Diebner, o le due bifore in pietra presenti sul fabbricato che sorge a ridosso dei gradini di S. Biase, o come le enigmatiche ornie di una finestra di vicoletto Cicogna.
Elementi di finitura di fabbricati degni di nota sono solo i portoni ad arco a tutto sesto, raramente a sesto ribassato, formati con lo stesso materiale lapideo delle murature utilizzando conci di taglia maggiore lavorati sulle facce visibili. Il concio di chiave rappresenta l’elemento di maggiore tipicità di tali portoni e spesso reca le iniziali del proprietario, o la data di realizzazione, o volute con elementi floreali in bassorilievo, o stemmi araldici (veri e presunti). Certamente, nel corso degli anni, si sono persi tanti di questi elementi costruttivi che, nell’apparente eterogeneità delle facciate, ricorrevano e caratterizzavano la peculiarità del luogo.
I lavori di ristrutturazione eseguiti dai privati proprietari negli anni ’60 e ’70 e i lavori di riattazione eseguiti dopo il terremoto del maggio 1984, hanno poi alterato e spesso determinato una definitiva perdita di tali caratteristiche di finitura, talvolta anche di pregio, tipiche di molti dei fabbricati del centro antico. Ad esempio, sono scomparse su tanti edifici le romanelle, necessarie per impedire la formazione dei ghiaccioli penduli dai cornicioni nei mesi invernali. Sono scomparsi tanti intonaci a calce, taluni cesellati con mirabile maestrìa dagli abili muratori locali, sostituiti da intonaci al quarzo o betoncini cementizi. Sono scomparsi tanti portali in massello di pietra lavorata, sostituiti da sottili marmette lucidate sulle facce in vista. Sono scomparsi tanti portoni e infissi in legno, sostituiti da portoncini in alluminio anodizzato vetrati.
Dalla lettura del tessuto urbano del centro antico, spiccano per importanza diversi edifici destinati a residenze signorili. Fra questi, il fabbricato a corte interna sito all’angolo tra l’Affacciatoio e l’inizio della via del sole, anticamente di proprietà della famiglia D’Afflitto, signori di Monteroduni, ed il palazzotto, certamente l’edificio più importante dopo il castello, situato sul lato ovest della stessa via del sole, in posizione di affaccio panoramicissimo sulla sottostante piana. Quest’ultimo, di massiccia fattura in pietra, presenta anch’esso una corte interna in cui vi è una cisterna e due semplici, ma gradevoli, scale in pietra per l’accesso al piano nobile.
Fino all’eversione dei beni ecclesiastici (leggi del 1866/1867) era di proprietà della curia vescovile di Isernia e veniva usato per la residenza estiva dello stesso vescovo. Poi ci sono anche tanti altri edifici che per tipologia e dimensioni si differenziano dagli altri, a rappresentare quella che qualcuno chiamerebbe “edilizia maggiore”. Questi “edifici importanti” presentano caratteri di buona fattura, hanno bei portali, spesso ariosi cortili, ampie scale, tutti segni evidenti delle condizioni di benessere economico dei proprietari che avevano possedimenti terrieri di una certa consistenza.
Invece, la casa tipica del centro antico è di tipo monocellulare. Di essa è sempre possibile coglierne l’unicità (la singolarità), anche quando si associa o si sovrappone ad altre cellule, non solo per la presenza di una propria porta di ingresso, che distingue appunto l’unicità della proprietà, ma anche per la individualità della sua copertura. Questo permette a ogni casa di configurarsi come un volume a sé stante, nudo e scabro, subito riconoscibile quando si percorre una strada o un vicolo. Le stesse case, come oggi appaiono nella loro impostazione a schiera compatta, sono l’esito finale delle trasformazioni, soprattutto ristrutturazioni e sopraelevazioni, fatte nel corso degli anni.
Interventi questi che, però, hanno sempre conservato le medesime cellule, come esse furono impostate al tempo della loro prima edificazione. Per meglio dire, nei secoli i fabbricati sono cresciuti in altezza, ma le piante sono rimaste per lo più immutate. Le murature in pietra sono massicce e sono fondate sulla solida roccia del colle. Le aperture, le porte, le finestre, i balconi sono di piccole dimensioni, come gli ambienti interni, le cui altezze raramente superano i due metri e mezzo. Piccole porte a segnare il passaggio da una piccola stanza a un’altra piccola stanza, e ugualmente piccole finestre o balconi per un affaccio assai discreto sulla strada pubblica.
Tutto e solo l’essenziale per un vivere semplice: una cucina con un piccolo camino e spesso anche una seconda camera, con il mobilio buono, utilizzata unicamente per i pranzi delle occasioni importanti, e una scala ripidissima e stretta che porta al primo e talvolta al secondo piano, dove sono le camere da letto e il bagno. Le case dei vicoli, poi, sfruttano sapientemente i dislivelli altimetrici con scale esterne in pietra, che, per mezzo di scomodissimi e pericolosissimi gradini, immettono direttamente nella cucina, mentre i sottostanti vani, quelli a livello strada, sono destinati a stalle (per l’asino, o la capra, o il maiale, o le galline), a fondaci (per la rimessa delle derrate o per depositi), a cantine (dove si tramandava la sapiente arte della vinificazione dell’ottimo asprino rosso).
Per l’esattezza, erano destinati a stalle e a cantine, perché oggi non lo sono più: sono vuoti. Come sono vuote le case e come risultano chiuse le tantissime attività artigianali e commerciali che fino a qualche anno fa erano presenti.
Eppure, tutto il centro antico appare ancora come il mirabile risultato di un costruire sobrio ed equilibrato, che si è sapientemente adattato all’andamento del colle senza mai ferirlo. Dalle torri del castello, o dal campanile della chiesa di S. Michele, ma anche da un qualsiasi altro punto di vista dall’alto, si percepisce proprio questa sapienza, con la visione del continuo e costante degradare della teoria dei tetti a formare regolari e armoniche geometrie, sempre diverse e sorprendenti secondo il variare, anche minimo, del quadro di vista.
Geometrie proprie di una sorta di falansterio di fourieriana memoria, che una volta pulsava di vita e oggi è tristemente abbandonato a sé stesso, e non è più rinviabile il tema del riuso possibile del patrimonio edilizio del centro antico, ormai avviato sulla strada, inevitabile, del degrado strutturale.
Stefano Biello
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