La “stucciata”
La “stucciata” è una delle tradizioni natalizie più antiche di Monteroduni.
Lo svolgimento attuale prevede una fiaccolata di adulti e bambini che percorrono le strade del paese facendo roteare grossi pezzi di legno fiammeggianti, i cosiddetti “stucci”, termine che deriva probabilmente dal tedesco medievale stùche, “corteccia”.
Le origini dell’evento sono ignote ma è evidente la commistione tra religiosità e antichi riti pagani che richiamano il culto del fuoco e le sue potenti simbologie. Di particolare significato anche il periodo in cui si svolge la manifestazione, pochi giorni dopo il solstizio d’inverno, nella fase dell’oscurità che prevale sulla luce.
Negli anni passati la “stucciata” apparteneva ai rituali della vigilia di Natale, come ricordano i versi di Domenico Ciocca, apprezzato poeta e commediografo dialettale.
La veggìlia, re vuagliùne,
'mpepìérne 'na iurnàta sana,
aspèttene la séra,
quande sona a làura la campàna,
p' appeccià ru sctùcce
e reschiarà la via,
quélla notte scura,
a Giusèppe e alla sposa sé, Maria.
Alla vigilia, i ragazzi,
in agitazione per una giornata intera,
aspettano la sera,
quando suona a làura la campana,
per accendere gli stucci
e rischiarare la via,
in quella notte scura,
a Giuseppe e la sua sposta, Maria.
Sempre in epoca passata, la tradizione voleva che gli “stucci” venissero accesi davanti alle proprie case e fatti roteare, per illuminare il percorso che portava sulla sommità del colle, alla chiesa madre, dove si celebrava la messa di Natale. Poi con gli “stucci” si andava tutti davanti alla chiesa. Appena dopo la mezzanotte il sacerdote si affacciava a mostrare alla gente accalcata, in un tripudio di fuoco, la statua del bambino appena nato.
Era tutto un crepitare di fiamme che roteavano nel buio della sera, qualche volta accompagnate da fiocchi di neve che rendevano lo scenario ancora più fiabesco e colmo di significati simbolici: luce, purezza, protezione contro gli spiriti del male e invocazioni alla natura, in un momento di passaggio vitale tra le diverse fasi dei cicli delle stagioni.
L’importanza dell’evento è testimoniata dalla lavorazione, paziente e accurata, dei materiali. L’albero prescelto era il pioppo, duttile e leggero.
Veniva tagliato in giugno e lasciato a essiccare, preferibilmente vicino a fonti di calore.
La lunghezza del pezzo destinato a diventare “stuccio” era all’incirca quello di un braccio, con un diametro di 10-15 centimetri. La superficie doveva essere priva di nodi perché la parte superiore, punto di accensione, doveva essere spaccata in otto parti, come spicchi.
All’interno degli spacchi veniva inserito un “tutolo”, ossia il torsolo delle pannocchie di granoturco, per favorire l’essiccazione.
A 10-15 centimetri dal bordo inferiore si praticava un’incisione in cui si andava ad alloggiare il fil di ferro, poi stretto con una tenaglia per assicurare la necessaria compattezza.
Particolarmente meticolosa era la creazione del manico, realizzato con un sapiente lavoro di intaglio e di levigazione per renderlo liscio, maneggevole ed equilibrato. Tutti questi passaggi, tramandati da generazioni, sono fedelmente rispettati nella manifestazione attuale. Un evento che mantiene negli anni tutta la sua forza suggestiva e continua a rappresentare un unicum, nella sua specificità tutta locale, con caratteristiche tutte proprie di Monteroduni.
A cura di GeaMonteroduni